Le parole mute del trauma: la memoria ritrovata nella relazione psicoterapeutica

Lo stress è una reazione fisiologica ad una condizione di iperstimolazione sensoriale, emotiva ed affettiva, che si traduce in un generalizzato sentimento di impotenza,  concretizzato in ciò che definiamo “esperienza traumatica”.

Adulti e bambini manifestano un’incapacità di ricordare i loro primi anni di vita. Questa particolare forma di amnesia – a cui peraltro tutti noi andiamo normalmente incontro – sarebbe dovuta all’immaturità dell’ippocampo e delle aree orbito-frontali in queste fasi iniziali dello sviluppo celebrale. L’incapacità di ricordare in maniera esplicita eventi che si riferiscono ai primi anni di vita riflette le diverse modalità con cui si sviluppano le varie forme di memoria. Il graduale superamento dell’amnesia infantile è dovuto a processi di maturazione neuronale. 

Tale esperienza può provocare un blocco delle funzioni mnemoniche, attraverso meccanismi che inibiscono i processi della memoria esplicita a livello dell’ippocampo e che determinano un blocco nella registrazione di questi ricordi. Questi effetti sembrano essere mediati dai processi neuroendocrini con cui il nostro organismo normalmente reagisce allo stress - attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. I processi che regolano la memoria vengono impressi in modo implicito oppure esplicito. La memoria implicita è mediata da regioni celebrali che non richiedono una partecipazione della coscienza ai processi di registrazione e di recupero; le strutture celebrali coinvolte nei meccanismi della memoria implicita, già sviluppate alla nascita, comprendono l’amigdala e altre regioni limbiche (memoria emozionale), i nuclei della base e la corteccia motoria (memoria comportamentale), e la corteccia percettiva (memoria percettiva).

La memoria esplicita, invece, è legata alla maturazione del lobo temporale mediale (che include la regione dell’ippocampo) e della corteccia orbito-frontale. Il sistema esplicito comprende due forme di memoria: quella semantica (che include la conoscenza di dati, parole, simboli) e quella episodica (che contiene informazioni riguardanti episodi o eventi autobiografici e le loro relazioni spazio-temporali).

Le memorie implicite possono manifestarsi in diverse componenti della personalità di adulti che riportano eventi traumatici accorsi durante il loro vissuto: risposte comportamentali apprese, reazioni emotive, modelli mentali, atteggiamenti, convinzioni, percezioni o anche sensazioni somatiche. Quando determinate situazioni inducono l’attivazione di queste memorie in assenza delle loro controparti esplicite autobiografiche, questi individui non hanno la sensazione di stare ricordando, ma semplicemente “sentono” o “agiscono” senza che ciò generi riflessioni del tipo: “Perché mi comporto così?” oppure “Come mai provo queste sensazioni?”. Esiste, quindi, una relazione diretta fra le influenze che le esperienze infantili hanno esercitato sugli elementi della memoria implicita e le modalità con cui questi elementi vengono riattivati nel contesto della relazione genitore-figlio, se il genitore ha subito una forte esperienza traumatica. Se l’adulto non è in grado di riconoscere questo legame, rischia di riprodurre, senza esserne consciamente consapevole, comportamenti appresi e risposte emotive che diventeranno dominanti nel suo atteggiamento nei confronti del figlio e giocheranno un ruolo fondamentale nel determinare le esperienze di attaccamento del bambino.

L’informazione sensoriale entra nel sistema nervoso centrale (SNC) attraverso gli organi di senso; questa informazione passa al talamo, dove in parte viene assimilata e in parte viene inviata all’amigdala. L’amigdala interpreta la valenza emotiva dell’informazione in ingresso e, una volta valutata, l’informazione viene passata alle aree cerebrali che controllano i sistemi di risposta comportamentali, autonomi e neuro-ormonali. L’informazione viene trasmessa anche all’ippocampo. Alti livelli di stimolazione dell’amigdala, tuttavia, interferiscono con il funzionamento dell’ippocampo. Questo comporta che i ricordi vengano archiviati come stati affettivi o come modalità sensomotorie, come sensazioni fisiche e immagini visive. Poiché l’ippocampo non ha potuto svolgere la sua funzione abituale di supporto alla contestualizzazione nel tempo e nello spazio dell’informazione in ingresso, questi frammenti continuano a condurre un’esistenza isolata. E’ questo il motivo per cui i ricordi dei traumi si ripresentano come stati emotivi e sensoriali con una debole rappresentazione verbale. Questo insuccesso nell’elaborazione dell’informazione, costituisce il nucleo essenziale della patologia del PTSD ( Disturbo post Traumatico da Stress )

Nel periodo che precede lo sviluppo dell’ippocampo, il cervello è in grado di registrare solo ricordi di tipo implicito. Di conseguenza, anche le esperienze traumatiche che si verificano prima dello sviluppo della memoria esplicita, durante gli anni che corrispondono normalmente alla fase di amnesia infantile, vengono registrate unicamente a livello implicito. Nel caso di eventi traumatici che si verificano in periodi successivi, l’atteggiamento di negazione dei familiari e l’impossibilità di parlare di queste esperienze possono determinare una compromissione dei processi di richiamo e di consolidamento dei ricordi che si riferiscono a tali eventi, che non possono quindi entrare a far parte della memoria autobiografica (narrativa) permanente. In questo modo, il trauma può rimanere in uno stato non risolto, e continuare ad evocare elementi impliciti che si accompagnano a reazioni comportamentali, emotive, percettive e anche somatiche di cui l’individuo non è in grado di riconoscere consciamente l’origine.
Uno studio delle tomografie a emissione di positroni (PET) effettuate su soggetti affetti da PTSD, durante le quali sono stati esposti ai racconti vividi e dettagliati che avevano scritto sulle loro esperienze traumatiche, ha rivelato che, durante l’esposizione ai racconti traumatici, questi soggetti hanno evidenziato un aumento di attività̀ solo dell’emisfero destro, nelle aree più coinvolte nell’attivazione emotiva, ovvero quelle parti del sistema limbico più̀ intimamente associate all’amigdala. L’attivazione di queste strutture era accompagnata da un aumento di attività̀ nella corteccia visiva destra, che ben si accordava con i flashback riferiti da questi pazienti. Ma l’aspetto più̀ degno di nota è che l’area di Broca – cioè̀ la parte dell’emisfero sinistro responsabile della traduzione delle esperienze personali in linguaggio comunicabile – si è “spento” del tutto. Questi risultati suggeriscono che le difficoltà incontrate dai pazienti affetti da PTSD nel tradurre a parole le proprie sensazioni sono legate a reali mutamenti dell’attività̀ cerebrale (Van der Kolk, 1996).

La psicoterapia può permettere a persone che presentano perdite o traumi non elaborati di collegare questi aspetti della memoria alle loro passate esperienze e, quindi, di comprendere le cause dei loro disturbi. Tali riflessioni devono avvenire nel contesto di una Relazione terapeutica di attaccamento "sicuro", che consenta alla mente del paziente di andare incontro a stati emotivi profondamente sregolati e di imparare a modularli in maniera adattiva.

Le regioni limbiche (e in particolare la corteccia orbito-frontale) possono rimanere “plastiche” e, dunque, aperte a processi di maturazione esperienza-dipendente durante l’intero corso dell’esistenza. Eventuali interventi psicoterapeutici, dunque, possono sfruttare questo potenziale per facilitare un ulteriore sviluppo della mente


per approfondimenti:
Ammaniti M. (2006). Psicoterapia e modificazioni neurologiche, in Dazzi N., Lingiardi V., Colli A. La ricerca in psicoterapia. Modelli e strumenti. Milano, Raffaello Cortina Editore.